A spasso tra gli olistoliti: le mie avventure geologiche sul flysch di Castelvetere

Hai mai osservato come, durante una passeggiata, ci si possa imbattere in qualcosa di inaspettato? A me è successo più volte mentre esploravo tra i pendii del Monte Tuoro, nella sua parte settentrionale, dove il paesaggio racconta una storia antica… non attraverso le parole, ma tramite le rocce. In particolare, attraverso quei massi enormi e un po' "fuori posto" noti come olistoliti. Una parola che potrebbe sembrare estratta da un libro di Harry Potter, ma che in realtà si riferisce a frane sottomarine, faglie e a un'epoca in cui tutto era coperto dal mare.


Cos’è un olistolite, detto semplice

Allora, iniziamo dal nome insolito: olistolite. Sembra una parola magica, lo riconosco. Tuttavia, deriva dal greco e significa qualcosa come “pietra scivolata”. Questo già ci fornisce molte informazioni.

Immagina di avere un vasto strato di sedimenti sul fondo del mare, in un ambiente tranquillo. Poi, a un certo punto, accade qualcosa – un terremoto, una frana sottomarina, o anche solo l’instabilità del suolo – e un grande blocco di roccia si stacca da una parete vicina e scivola (o meglio, rotola) giù per i fondali, finendo in mezzo a strati più “morbidi”, ancora in fase di formazione. Qual è il risultato? Un grande masso completamente diverso dalle rocce circostanti, posizionato lì come se fosse caduto dal cielo.

Ecco, quello è un olistolite. Un infiltrato geologico. Una sorta di “intruso” che narra storie lontane da quelle della roccia che lo circonda. Osservandoli da vicino, sembrano quasi dei mini mondi geologici separati, e proprio per questo sono estremamente affascinanti da studiare.


Nel flysch di Castelvetere – quella zona a nord del Monte Tuoro dove ho avuto modo di esplorare più volte – gli olistoliti non solo sono presenti, ma sembrano quasi collocati lì appositamente per suscitare curiosità. Alcuni sono enormi, altri più discreti, ma tutti condividono una caratteristica: non dovrebbero trovarsi lì. Ed è proprio per questo motivo che vale la pena osservarli da vicino.

E se ti avventuri verso le aree di Chiusano, Castelvetere e Montemarano, noterai che questa "stranezza geologica" non è affatto rara. Infatti, la regione è una vera e propria raccolta di olistoliti. Alcuni di essi sono enormi e facilmente visibili anche da lontano – sembrano piccole colline isolate – mentre altri si mimetizzano meglio, ma basta osservare con un po' di attenzione per scoprire che sotto i tuoi piedi ci sono blocchi di calcari o marne completamente diversi dal flysch che li circonda. È come se la montagna avesse creato un puzzle… con pezzi presi da altre scatole! 

In particolare, nella zona tra Castelvetere e Montemarano, ho rinvenuto olistoliti con strutture davvero singolari: strati piegati, fagliette interne e superfici di contatto molto nette, come se fossero stati collocati lì intenzionalmente. Alcuni di questi blocchi sembrano narrare un viaggio lunghissimo, iniziato forse a chilometri di distanza da dove si trovano ora. E questo, per un appassionato di geologia, è come scoprire una bottiglia con un messaggio all'interno.


Il flysch di Castelvetere: un terreno che racconta

Quando percorri la zona tra Castelvetere, San Mango e Chiusano, magari con uno zaino sulle spalle e lo sguardo parzialmente attento alle pietre lungo il sentiero, non ti aspetteresti che sotto i tuoi piedi si stia svolgendo un’intera serie di eventi geologici. Eppure è così. Il flysch di questa area – in particolare quello di Castelvetere – è un libro aperto per chi sa interpretarlo. O almeno, per chi ci prova, come me. 

Il flysch, in termini semplici, è una successione di rocce sedimentarie formatesi in un ambiente marino profondo, a seguito di imponenti movimenti di sedimenti che scivolano giù dalle scarpate sottomarine. Qui si alternano strati duri e morbidi: arenarie, marne, argille, conglomerati e occasionalmente qualche intercalazione calcarea che interrompe il ritmo. È un paesaggio che narra di instabilità, accumulo rapido e continue interruzioni. Un contesto ideale, insomma, per ospitare gli olistoliti come quelli che ho osservato sul campo.

Nel territorio di Castelvetere, il flysch emerge in modo spettacolare: lungo i sentieri, nei tagli delle strade, o semplicemente sui pendii che si affacciano sul Monte Tuoro. Le stratificazioni sono spesso molto inclinate, a tratti piegate, e in alcuni punti ho trovato anche superfici di scivolamento ben conservate, dove probabilmente interi pacchetti di sedimenti sono scivolati l’uno sull’altro, come le pagine di un quaderno bagnato.

Quello che mi colpisce è che ogni metro quadrato di questo terreno sembra comunicare: “Aspetta, non è finita”. Perché sotto uno strato che appare banale, può celarsi un olistolite, una struttura deformata, una piccola faglia, o semplicemente un cambiamento di facies che ti costringe a rivedere tutto.

E poi c’è la luce. Nei pomeriggi invernali, con il sole basso, le stratificazioni del flysch si illuminano di colori caldi, dal grigio all’ocra, e gli olistoliti – in particolare quelli bianchi o verdastri – sembrano quasi risplendere nel contrasto. È in momenti come questi che realizzi che la geologia non è solo scienza, ma anche una forma di bellezza.


La mia esplorazione: scarponi, appunti e tanta curiosità

Tutto è iniziato con una mappa spiegazzata, un paio di scarponi affidabili e una domanda: cosa ci fa quel blocco lì, in mezzo al flysch? Da quel momento, ogni uscita sul campo è diventata un piccolo viaggio nel tempo, tra pendii fangosi, sentieri nascosti e rocce che comunicano più di quanto si possa pensare.

Ho iniziato a esplorare sistematicamente la zona a nord del Monte Tuoro, proseguendo poi verso Chiusano, San Mango, e tutta la fascia collinare che circonda Castelvetere. Con taccuino, martello geologico, cellulare e GPS in mano, ho annotato ogni olistolite significativo: dimensioni, forma, tipo di roccia, contatto con il flysch, struttura interna. Alcuni giorni sono stati entusiasmanti, altri più frustranti (soprattutto quando il terreno si trasformava in un campo di fango e le tracce svanivano nel nulla). Ma ogni volta tornavo a casa con la sensazione di aver scoperto qualcosa di nuovo. 


CHIUSANO

Ricordo ancora la prima volta che ho incontrato uno degli olistoliti a facce irregolari di Chiusano: sembrava un meteorite caduto lì per caso. Mi sono seduto accanto, ho estratto il blocco da disegno e ho iniziato a schizzare la struttura. Le fratture interne, le discontinuità, l’inclinazione rispetto agli strati circostanti… tutto raccontava di movimento, urto, energia.

Durante una delle mie escursioni sul campo, nel territorio di Chiusano, ho avuto l'opportunità di osservare olistoliti che mi hanno lasciato letteralmente senza parole. Non solo per le dimensioni – alcuni sono davvero imponenti – ma soprattutto per la forma: blocchi a facce irregolari, spigolosi, quasi "spaccati" in alcuni punti, come se si fossero rotti durante il trasporto sottomarino. A differenza di quelli più arrotondati e massicci che si trovano più a valle, questi sembrano aver vissuto un passaggio turbolento, come se fossero stati trascinati e sbattuti qua e là prima di fermarsi.

In alcune circostanze, ho potuto notare anche segni di superfici di scivolamento e piccole fratture interne, chiari indicatori che quei blocchi non si sono semplicemente "posati" lì, ma sono stati parte di un movimento complesso, probabilmente associato a dinamiche gravitazionali sottomarine piuttosto intense. 



C’è persino un blocco – lo chiamo "l’irregolare di Chiusano" – che appare come una piramide schiacciata su un lato. Ogni volta che ci torno lo osservo, quasi come se fosse un vecchio amico: è lì, silenzioso, ma comunica più lui con le sue fratture di mille parole. 



CASTELVETERE

A Castelvetere, invece, è stata la dolcezza delle forme a colpirmi. Blocchi grandi, lisci, tondeggianti, immersi con calma nel flysch come se fossero sempre stati lì. Uno in particolare, a margine di un piccolo oliveto, sembrava un delfino addormentato nella terra. Lì ho incontrato anche un contadino anziano che mi ha chiesto, sorridendo: “Stai cercando l’oro?”. Gli ho risposto: “Più o meno, sì. Ma lo trovo dentro le pietre”.




Qui la situazione diventa molto affascinante. In un'area relativamente limitata, ho osservato la coesistenza di vari tipi di olistoliti: blocchi con facce irregolari, spigolosi e fessurati – simili a quelli di Chiusano – accanto a olistoliti sferici o sub-sferici, lisci e levigati, che ricordano grandi ciottoli incastonati nel flysch. 

Questa coesistenza rappresenta un segnale significativo: non si tratta di un singolo evento franoso, ma probabilmente di una serie di episodi verificatisi in momenti diversi, forse anche con origini litologiche e cinematiche distinte. 

È come se il territorio stesso fungesse da archivio di eventi sottomarini, con blocchi che testimoniano frane rapide e violente accanto a elementi che suggeriscono trasporti più lenti, rotolamenti o addirittura slittamenti “dolci”. La geodiversità di quest'area è straordinaria, e più ci si addentra, più ci si rende conto che ogni olistolite narra una parte diversa di una stessa storia geologica complessa e stratificata.



Mi piace pensare che Castelvetere ospiti gli olistoliti “anziani”, quelli che hanno fatto pace con il loro destino e si sono lasciati modellare. Mentre Chiusano conserva i ribelli, ancora spigolosi e pieni di cicatrici geologiche.

Due facce della stessa storia di mare, frane e tempo profondo.

SAN MANGO

Ma la storia non termina qui. Durante i miei rilievi tra Castelvetere e San Mango sul Calore, ho documentato una terza "categoria" di olistoliti che appare quasi come un compromesso tra i due estremi: blocchi stratificati ma massicci, con strati chiaramente visibili, spesso piegati o inclinati, ma ancora solidi e compatti come una fortezza. 

Questi rappresentano i testimoni più eloquenti del caos geologico che ha plasmato quest’area. In alcuni casi ho rinvenuto calcari a stratificazione parallela, ben conservati, che sembrano essere stati staccati quasi per intero da un'origine remota e poi adagiati (o forse scaraventati!) nel mezzo del flysch. 



Altri, ancora più affascinanti, mostrano pieghe sinclinali e anticlinali al loro interno, come se fossero stati modellati prima del distacco o deformati durante il trasporto.

Uno in particolare, situato non lontano da un sentiero secondario sopra San Mango, assomiglia a un enorme libro di pietra chiuso bruscamente a metà.




Ho dovuto arrampicarmi tra cespugli e pietraie per raggiungerlo, ma ne è valsa la pena: sembrava un castello in rovina, con gli strati come mattoni scolpiti dal tempo.

Questi olistoliti stratificati, a differenza dei blocchi più caotici, sembrano voler narrare per strati ciò che hanno vissuto: prima la loro origine sedimentaria, poi lo sradicamento, il viaggio sottomarino, e infine il riposo – se così si può dire – all'interno di un contesto geologico completamente diverso.


MONTEMARANO

Uno dei momenti più memorabili della mia esplorazione è stato senza dubbio l’incontro con l’olistolite di Montemarano. Isolato, quasi monumentale, emerge da una pendenza come un vecchio guardiano della valle. 




È un blocco massiccio, di natura calcarea, con una struttura interna relativamente compatta, ma segnato da fratture verticali ben visibili che lo dividono quasi in settori. Quello che mi ha colpito è la sua posizione: un po’ “fuori asse” rispetto alle strutture circostanti, come se si fosse ferocemente incuneato nel flysch durante un evento di scivolamento particolarmente violento. La sua presenza rompe l’omogeneità del pendio, creando un vero contrasto visivo e geologico.  


Perchè tutto questo è importante e affascinante

A questo punto potresti chiederti: perché trascorrere intere giornate a cercare blocchi di roccia "fuori posto" nel mezzo di un pendio, con lo zaino carico di taccuini e fango fino alle caviglie? La risposta è sia semplice che complessa. Gli olistoliti, in particolare quelli che si trovano in contesti complessi come il flysch dell’Irpinia, non sono semplicemente rocce. Sono indizi. Sono pezzi di un vasto puzzle, che ci assistono nel ricostruire la storia di un territorio, a comprendere com’era il paesaggio milioni di anni fa, quali erano le condizioni geodinamiche, e persino come si sono formati i rilievi che oggi osserviamo. 

Questi blocchi raccontano di antichi fondali marini, di movimenti tettonici, di frane sottomarine colossali e di sedimenti che hanno viaggiato per chilometri prima di fermarsi. Studiare gli olistoliti significa interpretare i movimenti della Terra.

E nel caso specifico di Castelvetere, Chiusano, Montemarano e San Mango, implica anche riconoscere una varietà geologica rara, in cui diversi tipi di blocchi, forme e litologie coesistono in pochi chilometri quadrati, narrando storie diverse ma intrecciate. Ma c’è di più. 

Queste ricerche sono fondamentali anche per la gestione del territorio per l’alto valore culturale che possiedono: camminare tra queste rocce è come visitare una biblioteca all’aria aperta, dove ogni masso rappresenta un capitolo di una storia profonda e ancora in gran parte da esplorare. 

Ecco perché non mi stanco mai di tornare. Ogni nuova osservazione, ogni rilievo, ogni foto scattata al volo prima del tramonto, arricchisce questa narrazione silenziosa. E più la ascolto, più mi affascina.


Conclusioni: guardare il territorio con occhi nuovi

Dopo aver esplorato olistoliti di forme spigolose, arrotondate, stratificate e massicce, mi rendo conto che l'aspetto più affascinante di queste avventure è il modo in cui modifica la tua percezione del territorio. 

Non osservi più semplicemente una collina, una pietra o un bosco. Scopri strati di tempo, movimenti profondi e storie che si intrecciano sotto i tuoi piedi. Comprendi che la Terra non è mai statica, ma un racconto in continua evoluzione, scritto con rocce e sedimentazioni. 

Un dettaglio che trovo affascinante è che, proprio su alcuni di questi grandi olistoliti isolati, si sono arroccati paesi come Castelvetere e Montemarano. 

È come se la storia umana si fosse legata a questi blocchi di roccia “fuori posto”, scegliendo proprio loro come fondamenta per vivere e costruire. La loro posizione dominante nel paesaggio non è solo scenografica, ma è anche un legame diretto tra geologia e cultura, tra passato remoto e presente.

Se vi trovate a Castelvetere, Chiusano, Montemarano o San Mango, vi consiglio di fermarvi un momento, magari accanto a un grande masso “strano”, e provare a immaginare: da dove proviene? Come è giunto lì? Quali eventi lo hanno fatto rotolare, scivolare o posare proprio in quel luogo? 

Questi olistoliti sono un po’ come messaggi nel tempo, inviati da un passato remoto, pronti per essere raccolti da chi ha voglia di ascoltare. 

E se, come me, vi sentite un po’ detective delle rocce, vi garantisco che questa area non vi deluderà mai. Perché ogni pietra ha una storia da narrare, basta saperla interpretare.

La cosa più bella, alla fine, è proprio questa: ogni escursione è un racconto diverso, fatto di sudore, intuizioni, errori, e piccole gioie da geologo di campagna. 

E ogni blocco trovato è una pagina in più da aggiungere a questo diario di pietra.









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